Viviana Picchiarelli e la “locanda dei libri”

“Quelli come noi sono coloro che pensano di essere
in credito con la vita e provano a ricominciare da capo,
nonostante le cicatrici”

  • Che tipo di scrittrice è Viviana Picchiarelli?

Ci credi che questa domanda non mi era stata mai posta? Di certo, sono un’autrice scrupolosa, attenta ai dettagli, convinta della necessità di rivedere sino allo sfinimento ogni singola frase. Questo è sicuramente il motivo principale per cui scrivo con una certa lentezza, ma diversamente non credo che ne sarei in grado.

  • Ti piacerebbe vivere in un luogo come la tua Locanda dei libri?

Abito in Umbria, mi divido tra Assisi e un piccolo borgo collinare di nome Balciano e molte delle atmosfere descritte nei miei romanzi ho la fortuna di viverle nel quotidiano. Per quanto riguarda, nello specifico, la Locanda dei libri, dico sempre che un giorno mi piacerebbe vivere in un contesto simile, lo sento molto affine al mio carattere.

  • Dopo “La locanda degli amori sospesi” e “Il giardino della locanda dei libri”, conti di scrivere un nuovo volume dedicato al delizioso agriturismo sul lago Trasimeno protagonista dei tuoi romanzi?

Sono in molti a domandarmelo. Non nego che l’idea mi accarezzi da un po’, ma prima ho bisogno di scrivere altro, per prendere le distanze dalla locanda e per tornarci magari con diverso slancio.

  • Hai scritto una storia che parla di legami famigliari complicati, oltre che d’amore. Cosa ti ha portato a fare questa scelta?

Da lettrice, amo le saghe familiari e i romanzi corali, soprattutto quelli degli scrittori sudamericani.

  • C’è qualcosa di te in uno dei tuoi personaggi?

In ciascuna delle protagoniste femminili c’è qualcosa di me, ma di sicuro il personaggio a me più affine è quello di Ginevra, con il suo essere irrisolta.

  • Ritieni che il tuo romanzo abbia un “lieto fine”?

Bella domanda! La risposta è sì, senza dubbio, anche se narrativamente potrebbe sembrare il contrario.

  • Cosa rappresenta per te la scrittura?

La scrittura è stata e continua a essere un porto sicuro e fonte di enorme soddisfazione umana e professionale.

  • Un libro che hai letto e che vorresti aver scritto?

Tutti quelli di Kent Haruf. Lo stile asciutto, il lessico essenziale, le descrizioni minuziose, l’attenzione al quotidiano descritto nella sua semplicità, senza rincorrere il colpo di scena a tutti i costi fanno sì che le sue storie siano letteratura e non semplicemente narrativa.

  • Manda un messaggio a coloro che non hanno ancora letto il tuo libro (invitandoli a farlo).

Lasciatevi avvolgere dalle atmosfere retrò di questo agriturismo sulle sponde del Lago Trasimeno, interamente dedicato ai libri.

Claudio Aita e le indagini di Geremia Solaris

“Tutto tornava alla terra prima o poi.
Anche il Chianti non poteva che sottostare
a questa legge divina e immutabile”

In questa intervista Claudio Aita, autore de “Il monastero dei delitti” e “La casa del manoscritto maledetto” (Newton Compton Editori) mi parla dei suoi romanzi thriller e mi racconta la sua vita da scrittore.

Due chiacchiere con… Giusy Cafari Panìco

Chi placherà Nettuno
e le sue tempeste
per riportarmi a casa?”

  • Che tipo di scrittrice è Giusy?

Sono una “lettrice forte”, onnivora ma esigente, e prediligo i classici: credo si intraveda nel mio stile. Amo i sentimenti potenti, gli affetti profondi, gli intrecci familiari. Mi piace da sempre raccontare storie, ma anche atmosfere, profumi, il gusto di un luogo, di un ambiente sociale, di un’epoca. Mi piace moltissimo sviluppare i personaggi, cercare di sfaccettarli; alla fine mi sembrano amici, di cui perdo il controllo e che pretendono azioni e comportamenti affini al loro temperamento, a volte nonostante il mio volere. Quando prendono autonomia e “si ribellano” è il momento più bello della mia azione di scrittura.

  • La poesia occupa un posto molto importante nella tua vita, ce lo racconti?

Nasco come poetessa, fin da bambina, e questo è incancellabile. L’espressione poetica per me è la quintessenza della vita, quando arriva ed è efficace è un dono del cielo, del “porto sepolto” di cui parlava Ungaretti in cui vive la nostra interiorità più profonda. Ho scritto quattro libri di poesie, l’ultimo “Poesie della luce e dell’ombra” scritto giorno per giorno come diario della pandemia. Sono direttrice del Comitato scientifico del Museo della Poesia di Piacenza, unico in Europa, e della collana di poesia “Oltre” di Pegasus Edition. Come poetessa ho aderito al movimento del Realismo Terminale fondato da Guido Oldani e con questa qualifica sono presente nella manualistica scolastica delle superiori edita da Bruno Mondadori.

  • Parliamo della tua ultima fatica, “La fidanzata d’America”, edito da Castelvecchi e ambientato in Abruzzo nel non facile periodo degli anni ’20. Chi/cosa ti ha ispirato questa ambientazione?

Avevo voglia da tempo di trasformare le leggende domestiche del mio lato familiare materno, abruzzese, in una narrazione. Ho scritto le prime parole del romanzo del duemilaequattro in un viaggio che feci a San Valentino in Abruzzo Citeriore alla ricerca delle mie origini. Poi ho lasciato tutto nel cassetto per riprenderlo in mano quasi dieci anni più tardi e, infine, negli ultimi due anni. La storia della protagonista è ispirata, seppure con inserti di mia invenzione, a quella di mia nonna Ada, fidanzata a un emigrante.

  • Quant’è importante secondo te mantenere in vita la memoria del passato ai giorni nostri?

La memoria del passato va scomparendo. Il nostro è il mondo dell’eterno presente, dell’oblio immediato, si dimentica tutto come se fosse il post di un blog che scorre via, sostituito da un altro e poi da un altro ancora. Tutto viene inghiottito da un oblio immediato, ingurgitato dalla moda del momento, da un’opinione anziché da un’altra. Spesso poi non si riesce nemmeno più a contestualizzare persone e avvenimenti del passato perché non lo si conosce.  La memoria è fondamentale, farne a meno è come dimenticare persino come ci chiamiamo e perché.

  • Quanto c’è di te dentro ai tuoi personaggi?

Moltissimo. In Ada ho trasmesso tutto il mio essere donna, tutte le mie incertezze, ma anche l’attaccamento alla famiglia, persino la paura che avevo dei temporali. Dentro suo fratello prete, invece, ho messo l’amore per i libri e anche il mio carattere un po’ meditativo. Ma persino nella matrigna di Ada ho messo un po’ la mia tendenza a dire sempre “Povera me!”

  • Come definiresti il finale del tuo romanzo?

Per certi versi è un lieto fine, per altri no, dipende dal lettore. È comunque un finale aperto, perché ci sarà un seguito, che sto già scrivendo.

  • Cosa rappresenta per te la scrittura?

Non potrei vivere senza scrivere. È il mio modo per dire la mia nel mondo. Per altri può essere la parola orale, la recitazione, lo sport. Preferisco sempre comunicare per iscritto piuttosto che a voce, un po’ per timidezza, un po’ proprio per propensione. Mi piace il ticchettio dei tasti, la pagina che si anima, un mondo che nasce. È una magia.

  • Un libro che hai letto e che vorresti aver scritto?

Pastorale Americana“. Lo trovo un libro potentissimo, capace di mettere in simmetria la crisi di una famiglia con la crisi di una nazione e di un’epoca, con personaggi intensi, una narrazione originale, uno stile straordinario, ironico e tragico allo stesso tempo. Trovo poi geniale finire un libro con un punto interrogativo. Roth è un autore unico, purtroppo inimitabile.

  • Manda un messaggio a coloro che non hanno ancora letto i tuoi libri!

Di solito scrivo quello che vorrei leggere e faccio di tutto perché i miei personaggi diventino degli amici originali, commoventi e divertenti… mi farebbe piacere presentarveli!

Visita il suo Blog “Come la luna di giorno”